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Le sue 'Superfici di passaggio', Fantasia le chiama inclinazioni. C'è l'orizzontalità della strada, un richiamo allo spazio fisico, ai significati sfuggenti che si suppone dovrebbe comunicare e alle conseguenze dell'abitarlo per un'umanità appesantita dalla carne, consegnata in esclusiva a gesti abitudinari, ovvero che tanto più urgono quanto più sono ormai inspiegabili. C'è poi la verticalità, declinata in questo caso nel formato di uno schermo, l'unico piano di realtà condiviso dove gli individui possono farsi, anche se magari per il solo breve spazio di un servizio televisivo, comunità. Qui Fantasia si gioca il piano del tempo e della storia: una sequenza di eventi di forte impatto sull'immaginario collettivo letti attraverso il filtro di filmati virali trasmessi dalla televisione o diffusi in rete. Piccoli correlativi oggettivi audiovisivi che raccontano frammenti di animo umano quanto e forse più dei macro-eventi cui sono riferiti. C'è poi un terzo asse, ed è quello della parte finale di Superfici di passaggio. Le Piattaforme - questo il titolo - sono forse dei trampolini per lanciarsi dentro, letteralmente, l'esplorazione delle superfici, varcarle, penetrarle. In questa parte di sintesi finale, Fantasia sceglie la dimensione della profondità sia per sviluppare nel dettaglio la sua lettura delle cose, sia per sprofondare di tanto in tanto in una condizione più intima, interiore, e fare i conti con la comprensione sempre per forza parziale che si può raggiungere attraverso la scrittura. (dalla Postfazione di Marco Bini)